Da: “IL PICENTINO”, storia delle “Passate coltivazioni del Principato Citra”
Erbasanta a Cava De’ Tirreni
Nel corso del 1800, su indicazioni ed iniziative di Società di agricoltura, Istituti di incoraggiamento, studiosi ed appassionati del settore primario, talvolta stimolati da organi di Governo, sia franco-murattiani nei primi anni di quel secolo, sia borbonici, diversi aspetti dell’agricoltura campana, ed in particolare di quella della nostra provincia, vennero migliorati o modificati.
Dopo l’Unità Camere di Commercio, comizi agrari a cattedre ambulanti, stimolati anche dall’attività della nostra Società economica, cercarono di proseguire sulla strada delle innovazioni e di fronteggiare situazioni di crisi, provocate o da nuove avversità – basti pensare all’oidio, alla peronospora ed alla fillossera per la vite – o da situazioni economiche, a volte dipendenti da modifiche di accordi internazionali inerenti i commerci dei prodotti della terra.
Due coltivazioni, in particolare, ebbero un successo mercantile che, per condizioni che vedremo, si spense con l’inizio del XX secolo: il tabacco Erbasanta e la Robbia dei Tintori.
L’Erbasanta era il nome con cui veniva indicata la Nicotina Rustica, dalla quale si otteneva tabacco da fiuto, mentre quello da fumo – per sigari, pipa e sigarette – veniva ottenuto dalle diverse varietà di Nicotiana Tabacum.
In effetti all’inizio della sua avventura in Europa il maggior consumo della Solanacea giunta dalle Americhe fu proprio dovuto alla pratica di fiutare, aspirando con le narici, il prodotto delle foglie ridotte, dopo adeguate cure, in polvere.
Matteo Camera di Amalfi, in un articolo riportato su “Il Picentino” del 1872, descrivendo i primi tempi dell’uso popolare, così si espresse: “Questo consuolo degli afflitti, questa distrazione degli uomini laboriosi, questa risorsa de’ contrabbandieri, miniera d’oro degli amministratori, che da principio ammesso esclusivamente in polvere, non si vedeva che presso i farmacisti sotto il nome poco allettante di clysterium nasi, più tardi, preso in fumo, faceva impallidire i nostri doganieri”.
In Italia sembra che sia stato il Cardinale Prospero Santacroce a favorire l’introduzione del tabacco in polvere che, a causa del suo nome, fu chiamato Erba Santa, etimologia confermata dall’insegna della Croce posta sulle botteghe dei venditori.
Nel 1650, tal Antonio Vitagliano pubblicò un opuscolo dal titolo “De Abusu tabaci” nel quale consigliava a preti e monaci l’uso della tabacina per favorire la castità, riferendo che padre Giuseppe da Copertino, morto in Assisi in odore di santità, gli aveva riferito di “averlo sperimentato buonissimo”.
L’abitudine di fiutare – e spesso di starnutire – si diffuse talmente che furono emanate bolle, come quella di Urbano VIII nel 1642 ed Innocenzo X nel 1650, per coloro che ne facevano uso in chiesa.
Anche i cultori di medicina sostennero la pericolosità di tale abitudine.
Alla Facoltà medica di Parigi, in una conferenza contro il tabacco, il presidente della tornata “non lasciava di tenere in mano la sua tabacchiera, nè cessava di prendere tabacco”.
Si riportò altresì che a Bologna il cardinale Lambertini, poi divenuto Benedetto XIV, offrì la sua tabacchiera ad un vescovo durante un colloqui diretto; ma il prelato, ringraziando, subito riferì di non praticare tale vizio. La immediata risposta del cardinale fu di esemplare durezza: “se fosse vizio lo avreste certamente”.
La Toscana e Roma furono centro di diffusione di dette abitudini. Al tempo di Cosimo I dei Medici, detto il “Grande”, perchè insignito del titolo di granduca, fu il vescovo del Borgo Sansepolcro, Alfonso Tornabuoni, a farsi inviare i semi di Nicotiana Rustica dal nipote, Niccolò Tornabuoni, nunzio pontificio a Parigi dal 1560 al 1565 (in seguito nominato cardinale e trasferito a Roma), e ad iniziare la coltivazione del Tabacco in Toscana, e precisamente nei poderi di Chitignano, appartenenti a Cosimo I, tabacco denominato “Erba Tornabona”. All’inizio la nuova pianta fu considerata un’erba medicamentosa (c’era l’abitudine di mettere del tabacco nell’ombelico dei bambini per preservarli dai vermi) e poi si diffuse, subito dopo, come erba voluttaria sia da fiuto che da fumo.
Per limitare l’uso, sia di fiutare che di fumare o di masticare, diversi governi cominciarono ad imporre tasse, ad iniziare da quelli francesi; e se tali soluzioni colpirono il popolino, non incisero sui ceti più abbienti, per i quali l’aspetto esteriore della pratica da fiuto diede vita all’uso di tabacchiere che a volte costituivano veri e propri gioielli.
La coltivazione della Nicotiana nella nostra provincia risale al XVII secolo, principiando, secondo quanto scrisse sulla nostra rivista D. Cosimato, dalla Valle del Sarno e dalla Valle di Cava.
E’ certo , che in tali zone, spesso per opera di Monasteri e Conventi, si coltivasse, essiccasse e conciasse l’Erba Santa, la Rustica.
La coltivazione ebbe a ridursi nell’iniziale periodo dei francesi a Napoli, giacchè a motivo del blocco degli inglesi si preferiva produrre generi di prima necessità.
G. Murat tentò di rimediare al calo produttivo incoraggiando i tabacchicoltori, i cui prodotti attivavano anche le prime industrie trasformatrici. Le società di agricoltura ebbero il compito di sostenere la coltura, con scarso successo, giacchè il rientrato governo borbonico impose quelle “vessazioni degli agenti incaricati che fanno in buona posta arretrare l’industria”, come ebbe a scrivere nel 1821 il presidente della nostra Società, Abate Rinaldi.
La coltivazione, che ebbe in Cava il suo centro elettivo, venne praticata con notevole successo, al punto che l’Amministrazione locale cominciò ad operare per la realizzazione di uno specifico stabilimento di trasformazione. Furono proposte nel tempo diverse soluzioni, ma gli incaricati dell’amministrazione borbonica trovarono sempre dei difetti sia di ubicazione che di natura contrattuale, mentre con il passare del tempo nella stessa zona cominciavano ad affermarsi tabacchi da sigari quali il Kentucky, il Brasile, il Seed-leaf.
Il versante orientale della valle cavese fu il più intensivamente coltivato ad Erbasanta, anche perchè, dopo che Ferdinando II affidò la concessione in privativa al principe Torlonia, una disposizione fiscale impose di differenziare le zone per i diversi tabacchi, indicando, per la varietà di fumo, la parte occidentale (ovest), ponendo come linea divisoria la strada Nocera-Vietri-Salerno.
Le cause dell decadenza
Dal 1870 al 1900 la fabbricazione dei tabacchi da fiuto era calada dal 21,8% al 17,3%, mentre le vendite nel 1900 rappresentavano solo il 16,5% del totale, costituiti da: 17 rapati (essi erano ottenuti raspando le foglie di tabacco, mentre i pregiati “rapè” dei fratelli piemontesi Mattei di Albogno erano costituite da farine di tabacco scuro a grana grossa, precedentemente fermentate e aromatizzate al rhum), polveri (farine di grana molto fine, non fermentate e a basso tasso di umidità), zenzigli (a grana fine con tasso di umidità più alto), canuto (farine non fermentate sottoposte a concia e profumazione).
Le confezioni erano costituite da sacchetti (boette) di 100, 200 e 500 grammi (secondo il giornalista Velello Muratori, Napoleone Bonaparte consumava in un mese circa 3 Kg di tabacco da presa, non gradendo quello da fumo).
Le importazioni legali della materia prima avvenivano in foglie intere (Ua= 15-20%) solo da USA e Germania, e cessarono del tutto dal 1920. Il mercato illegale faceva arrivare le foglie, arrotolate e umide al 15%, utilizzava i forni del pane per essiccarle e le macine della farine per ridurla in polvere.
In Italia , le vendite del tabacco da fiuto dal 1880 la 1969 erano calate da 3.473 tonn. (21,3%) a 206 tonn. (0,3%) fino a limitare la produzione, in anni più recenti e in regime di Monopolio, a circa 10.000 Kg all’anno, concentrati nella sola Manifattura di Chiaravalle.
La crisi mondiale del 1929 influì anche sull’industria del tabacco e portò alla contrazione dei consumo e della produzione, difatti dal 1933 al 1938 le eccessive scorte di tabacco greggio (113 milioni di chilogrammi) causarono una contrazione significativa contemporanea delle superfici coltivate a tabacco.
Dal 1936 in poi era stata completamente abbandonata la coltivazione dell’Erbasanta a Cava, a favore di altre cultivar emergenti e utilizzate per lavorati da fumo.
Giuseppe d’Amore – Maurizio Murolo
Passate coltivazioni del Principato Citra