Perché salire fino a Montelparo?
Perché d’estate l’aria è incomparabile; perché in ogni stagione l’architettura dei palazzi e delle chiese conquista gli occhi; perché d’autunno e di primavera ci s’immerge in una tavolozza di colori; perché d’inverno lo scenario di neve conquista il cuore; perché affacciandosi al balcone sembra di toccare la montagna fatata. Perché la storia trasuda da ogni mattone e da ogni ciottolo. E perché qui le tradizioni sopravvivono. Anzi, esistono, ancora verdi e rigogliose. Sono vita quotidiana, le tradizioni. Non muffa. Non ricordo sbiadente.
…fino a Montelparo
Ma a proposito di tradizioni, vi piace il baccalà? Se sì, allora ricordatevene nel triduo di S.Antonio: il 15, 16 e 17 gennaio. È il tempo giusto per mangiare qualcosa d’eccellente. E per entrare quasi in una favola d’altri tempi. Dicono che l’ultimo appuntamento, quello delle scorse settimane, abbia visto salire a Montelparo 10 mila persone circa. Dieci volte la popolazione residente. In occasione del triduo in onore dell’Abate protettore degli animali e della campagna, nel minuscolo centro ai piedi dei monti Sibillini si mangia baccalà. Un baccalà straordinario, il gaspé, lesso, con la salsa verde, di cui le vergare e le donne del paese, di cui gli chef sopraffini, di cui i cultori… non conoscono la ricetta vera. Perché la ricetta vera mai è stata rivelata. Perché la ricetta vera passa da bocca a orecchio, viene tramandata di padre in figlio da trecento anni ed oltre. Come in un’iniziazione, in una segreta iniziazione. Tutto ebbe inizio nel 1703. Terribile fu il terremoto che distrusse il paesello. Anche il convento dei frati agostiniani andò giù. Senza campane, senza messa, senza religiosi, che vita poteva essere? Occorreva ricostruire, e in fretta. Occorreva rimboccarsi le maniche. Occorrevano aiuti. S’era poveri, sì, ma non affamati. E dalla campagna arrivò il soccorso: manodopera e aiuti alimentari. Occorsero 15 anni ma alla fine, il convento risorse, più bello di prima. E i frati esultarono. Ringraziarono Iddio, per la forza suscitata, eppoi, per le braccia degli uomini. E lo fecero concretamente, invitando a pranzare, il giorno della riapertura del luogo sacro, nella mensa conventuale il gruppo dei contadini che più aveva dato una mano. Un pranzo nella mensa del convento era un onore grande, specie a quei tempi. E il baccalà che venne servito aveva un non so che di umano e più che umano. La cosa si ripetè l’anno successivo e quello dopo ancora. E divenne tradizione. Il baccalà dei frati veniva sottoposto ad un sistema di stoccaggio, di immersione nell’acqua, di procedura ai fornelli che lo rendeva un incanto. Poi accadde che i religiosi furono cacciati con l’arrivo di Napoleone. Tornarono nel loro convento qualche tempo dopo per essere ricacciati stavolta dai Piemontesi conquistatori nel 1871. Tutto finito. Tradizioni comprese? Mannò. Un giovane “fratello” laico aveva appreso il segreto del baccalà. E mantenne in vita l’incontro culinario annuale con i contadini nelle feste di S. Antonio. Anzi, intorno a sé costituì una specie di Confraternita: il Comitato di Sant’Antonio, tutti maschi, tutti “fidati”, tutti rigorosamente tenuti al segreto. Un secolo e mezzo dopo il Comitato ancora esiste, e il segreto pure. E la bontà del baccalà resta intatta. A capeggiare la “Confraternita” come vice presidente (il presidente è il parroco del luogo) è un 88enne pimpante e gagliardo, il cavalier Sante Pacioni. Nei giorni scorsi ha diretto il lavoro dei suoi uomini. Per meglio dire, da due mesi capeggiava le sue schiere. Essì, perché la macchina organizzativa della degustazione del baccalà si mette in moto a fine ottobre. Ci vuole tempo a trovar il prodotto giusto, bagnarlo, sciacquarlo, cucinarlo, prepararlo insomma per la gran festa. Festa che c’è stata nuovamente il 15,16 e 17 gennaio. Folla, apprezzamento, applausi. Tradizione, segretezza, e gusto. Un bel mix. Volete iscrivervi al Comitato? Potete chiedere. Ma la selezione sarà lunga. Prima vi squadreranno, indagheranno sulla vostra onorabilità, sulla vostra capacità di riservatezza. Poi, magari diranno: sì. Ma non sarà finita: perché dovrete svolgere due anni di “noviziato”, come i giovani agostiniani. Come i detentori di un segreto, che si associa al gusto ma richiama la terra, le sue bontà.
Il Creatore, insomma.