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Il posto del passeggero

di Eva Vannicelli

Attenzione: contiene spoiler…

Leggere questo romanzo dà l’impressione continua di camminare sul bordo di un precipizio, di un vuoto cosmico. Il protagonista, di cui non si viene a sapere nemmeno il nome, racconta gli eventi in seconda persona ottenendo un effetto straniante sul lettore, che a un certo momento ha l’impressione che il soggetto delle vicende sia proprio lui stesso, venendo catapultato in presa diretta nel romanzo. La situazione esistenziale sperimentata in immersione totalizzante nel racconto non è certo esaltante, visto che è basata su una solitudine estrema, assoluta e sconvolgente. Si assiste infatti a una condizione di dissociazione continua dai propri sentimenti, in una coincidenza empatica alessitimica tra lettore e protagonista che come esuli randagi vengono trascinati continuamente di qua e di là per quartieri, strade e città diverse “enormi e tentacolari, piene di persone sole” (cap. 31), o a rinchiudersi autisticamente in casa, in un mondo desolante di musica ipnotica o assordante, o di stordimento da droghe, topoi letterari del resto già frequentati dall’autore nel romanzo di esordio, Defrag, di cui questo romanzo occupa lo step successivo, l’evoluzione naturale. Il protagonista attraversa la vita inerte, come una valigia “nel posto del passeggero“, come avverte da subito il titolo del romanzo. “Sempre disconnesso, senza possibilità di contatto” (cap. 30), egli ogni tanto tenta qualche relazione, ma non mette radici, rimanendo sulla superficie dei rapporti.
Il ritmo procede serratissimo, denso di nodi pulsionali che il lettore non fa in tempo a interiorizzare perché indirizzato con prepotenza all’evento successivo, almeno fino a metà libro, ove è collocato il luogo dell’epifania: qui sorge l’evento, lo shock, l’acting out, ossia il tentativo di spezzare la sensazione esistenziale di impotenza paralizzante tramite un mancato suicidio in macchina, seguito immediatamente da un altro mancato suicidio attuato attraverso un abuso considerevole di droghe in una nottata.
Chiaramente il grido di aiuto rimane inascoltato, a causa dell’assenza di relazioni stabili, ma di qui in poi il ritmo del romanzo si biforca, continuando da un lato veloce sul racconto delle vicende, e dall’altro scorrendo più lento nell’analisi delle stesse da parte del protagonista, come se egli finalmente tentasse un controllo più approfondito delle proprie reazioni. Rimane comunque al lettore la sensazione che al trauma vero il protagonista non arrivi mai, nonostante i numerosi tentativi, rimanendo in una continua sospensione in cui ogni bisogno di mettere un punto certo rimane inevaso. Di qui il lucidissimo epilogo: “non sai perché sei spesso certo di una cosa e poi sicuro del suo contrario, non sai perché provi questa profonda angoscia, né perché quella stanza (degli ospiti, o dei figli) è ancora inutilizzata. Ora chiudi questo ultimo capitolo, e dimentica tutto.” Epilogo che circuita con la pagina di ingresso nel romanzo: “Soprattutto ti tormenta qualcosa che hai perso e non trovi più, forse non l’hai mai avuto, neppure sai cos’è ma ti manca“, in un perpetuo fluire del tempo, in un andamento circolare che inchioda il lettore al cortile di un carcere e che stona con la lettura di una parte della critica, che vi intravvede invece il raggiungimento di una verità assoluta, di stampo socratico, ossia l’accettazione serena di sapere di non sapere, di accettare serenamente il fatto di non avere alcun controllo della propria vita. In realtà il protagonista è un simbolo puro dei nuovi sintomi contemporanei, l’alessitimia, gli attacchi di panico, la dipendenza dalle droghe, dai dispositivi tecnologici, etc., condizioni di grande infelicità cui la psicoanalisi odierna tenta di offrire risposte ancora in fase di studio.

Nonostante la tematica forte, il romanzo è veramente piacevole da leggere; nel suo linguaggio scarno e diretto si aprono continui spunti poetici che introducono una ventata di aria fresca nell’atmosfera asfittica del romanzo. Degno di nota è l’uso di un certo sperimentalismo strutturale, connotato dall’uso massiccio del discorso indiretto, dall’assenza di punteggiatura (“In un mondo ideale dovrebbero bastare solo il punto e la virgola (…) le persone arriverebbero dritte al punto, senza girarci attorno (…) Le parole avrebbero un peso diverso, non sarebbero inflazionate e chi le pronuncia ne avrebbe il controllo”), di numero di pagine, in un flusso di coscienza che arriva dritto al lettore senza filtri nevrotici menzogneri, senza alibi, senza scuse.

Un gran bel romanzo.

Gennaio 2022

 

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