Gli amici sono tutti d’accordo. A loro piace la casa che abito.
Chiaro che piaccia anche a me.
Ultimamente mi sorprendo, a volte, fermo lì all’ingresso, che guardo l’infilata di stanze: i fiori sul vecchio tavolo, l’armadio trasformato in appendiabiti, le tante poltrone, le migliaia di libri avvinghiati alle pareti, il soffitto dalle travi scure, il saliscendi che conduce alle camere e quello che porta in cucina e allo studio sopra elevato.
Dicono che abbia calore, la casa che abito, calore nel senso di… accoglienza. Credo sia vero.
La casa deve avere un’anima, deve esprimerla, così che gli altri se ne accorgano e vi si immergano.
Giorni fa però ho pensato alla polvere. Ma non a quella atmosferica che traspare nel taglio obliquo di luce, che fa impazzire le donne.
No, no, quella non c’è mai, figurarsi…
Un’altra polvere, quella del tempo-cronos, quella dell’assuefazione, del lasciarsi andare, del pensare di essere arrivati da qualche parte e attendere soltanto gli ultimi rintocchi, del vivacchiare insomma e del non vivere, come avrebbe detto quel tosto di Piergiorgio Frassati in arrampicata pregante.
Quella polvere e, se mi consentite, anche quella ragnatela virtuale, che avviluppano gli uomini eppoi le cose e li rendono musei ammuffiti, mummie imbalsamate.
Strana polvere, strane ragnatele che non si portano via con lo straccio o l’ultimo ritrovato della chimica.
C’è il rischio che cada anche sui miei libri, sulle mie poltrone, sul calore… inteso come accoglienza della casa che abito.
Prima c’erano le voci dei miei figli, ora all’università. Magari a volte anche snervanti. Ora non più. Però…
Oh, intendiamoci!, è bello il silenzio che mi avvolge rotto di tanto in tanto dalle note di un pianoforte lontano. Ma se restasse sempre silenzio…
Però poi le stanze sono tornate ad animarsi. L’altra sera tenevo in braccio l’ultima nata delle mie nipoti. Giulia sfiora i quattro mesi. Si guarda già in giro, scopre questo mondo.
Chissà se inizia ad ammirarne la bellezza. Chissà se la riproduzione del quadro di Vittore Crivelli in qualche modo la colpisca, oppure ad essere colpita lo sarà dalla pittura – stavolta un quadro vero – di Vincenzo Monti che riproduce il di lei bisnonno? Chissà.
Nessuno – dico nessuno – ha capito sino in fondo la mente umana. Chissà Eluana cosa pensasse o come vivesse in quella vita che i soloni hanno decretato essere non vita. Chissà.
Ma torniamo a noi.
Però Giulia piange, a volte, richiama attenzione, mobilita energia, fa muovere questo piccolo mondo altrimenti silenzioso e a rischio di immobilismo. Crea fermento, la piccola.
E Chiara, di tre anni più grande, vuole la sua parte, il suo protagonismo. Allora nonni e genitori, zii cugini ed amici si animano, riprendono vita. Attenzione: riprendono V I T A.
Il latte, la pappa, i pannolini, la spesa. E i soldi per la spesa, e la fabbrica per i soldi della spesa, e le commesse per la fabbrica per i soldi per la spesa.
Loro sono il motore di tutto questo. Loro, queste presenze minuscole e attivissime inattivamente.
E la vita è come se riprendesse vigore e consistenza. E le tante poltrone si animassero, in qualche modo; i libri tornassero a farsi attraenti, l’appendiabiti ritrovasse il suo ruolo di appendiabiti. E gli uomini, e le donne, fossero più attenti a queste piccole creature che sono il megafono di un Altro. Di questo Altro che ci scuote, ci invita, ci spinge.
Di questo Altro – ci raccontano – che, per dei piccoli esseri come siamo tutti noi, lavorò sei giorni. Niente settimana corta. Perché non sto parlando di religione o di teologia. Oh, per questo ci sono il Papa, i vescovi che sono con lui, ed anche i preti, ed anche qualche teologo, ovviamente.
Io sto parlando di economia. Di leggi della casa, della mia, della vostra, delle nostre case insomma. Magari c’entra anche un po’ di esistenza.
Queste piccole creature sono un messaggio che dice: il mondo continua con le vostre mani ma con la mia forza. Dove il “mia” ha la emme maiuscola…
Allora, la domanda è: vogliamo la polvere, non quella atmosferica – abbiamo detto – che non piace alle donne di casa?
Vogliamo la ragnatela virtuale che imbozzola le menti e gli arti?
Vogliamo un’imbalsamazione anzitempo?
Se è questo che vogliamo, beh, chiudiamo le porte, impediamo il pianto e il risolino dei bimbi.
Anzi: impediamo ogni pianto, ogni risolino, ogni richiamo.
Impediamo ogni vita, sia essa splendida nelle forme o contratta nelle membra. A questo proposito, m’hanno raccontato che certi intellettuali avrebbero chiesto di chiudere il Cottolengo: perché lì non ci sarebbe vita.
Già, come per Eluana. Si ricomincia, la diga è venuta giù.
Ma se così facessimo le mie poltrone resterebbero inaccoglienti, le travi non darebbero più calore, i libri ingiallirebbero, le fabbriche chiuderebbero, le viti brucerebbero.
Vedete? Sto parlando di economia.
E gli uomini… sarebbero già morti.
E prima lo sarebbero nell’anima.
pubblicata da Adolfo Leoni il giorno venerdì 27 marzo 2009