Nel 1866, Giacomo Sormanni, un enologo di chiara fama, riguardo ai sigari toscani, scriveva che «sono della forma dei Cavour, ma un poco più sottili e più lunghi. I militari ne fanno grande uso perché forti, ma la loro qualità è inferiore e tramanda un odore cattivissimo». Ho scelto queste parole di Sormanni come incipit del mio articolo dedicato all’Ambasciator Italico Il Buttero, pubblicato qui su GustoTabacco ormai quasi un anno fa. Questo sigaro deve aver smosso qualcosa nella mente dei fumatori italiani, giacché spesso lo sento citare a mo’ di exemplum. L’ultimo, in ordine di tempo, a prendere il Buttero addirittura come metro di paragone è il mio amico Simone Fazio (redattore su CigarBlog… Sigari e dintorni) che, in questo articolo, ci fornisce una lucida analisi dello stato di salute dei toscani prodotti da MST: «un sigaro senza pretese, senza picchi qualitativi ma anche senza difetti, che aggredisce il mercato che dovrebbe essere di assoluto dominio della Toscano […], un ammezzato, mediamente migliore rispetto agli ammezzati entry level Toscano, e a prezzo più basso!». In questo articolo, che vi invito a leggere, Simone traccia un’analisi piuttosto equilibrata della situazione attuale: l’impianto di questo contributo è, a mio avviso, abbastanza condivisibile, ma c’è una problematica sottesa a tutte le argomentazioni addotte che è tempo di sollevare.
La domanda è: a cosa ci riferiamo quando adoperiamo l’espressione “sigaro toscano”?
Per Sormanni, centocinquanta anni fa, la risposta era semplice: «sono della forma dei Cavour, ma un poco più sottili e più lunghi». Fine del discorso. Non si faceva neppure cenno al tipo di tabacco utilizzato, figurarsi ai produttori. D’altra parte, allora e fino al 1998, il problema non esisteva, giacché solamente una realtà poteva produrre sigari: lo Stato. Il regime di Monopolio consentiva unicamente allo Stato la produzione di sigari, sigarette e trinciati: chiunque volesse lavorare, a qualunque titolo, nel settore della trasformazione del tabacco doveva superare un concorso statale. Tutto questo è finito nel 1998, con la liberalizzazione della produzione: certo, è stata una liberalizzazione all’italiana, visto che sono rimasti lacci e laccioli oltre il tollerabile, ma non è il momento di parlare di questo. Ebbene, quell’anno sorse l’ETI, un ente pubblico trasformato in Società per Azioni nel 2000: nel 2001, produceva 45 milioni di kg di sigarette, di cui 13.200.000 per Philip Morris, e 540 tonnellate di sigari, attraverso 16 manifatture di sigarette e 2 manifatture di sigari. Nel 2004, l’ETI è stato privatizzato e BAT Italia ha acquisito tutta la baracca, comprese quelle due manifatture di sigari, ove nascevano i sigari toscani. Nel 2006, BAT Italia ha ceduto al Gruppo Industriale Maccaferri quelle due linee produttive: ecco come un prodotto nazionale è diventato privato, come un’espressione, con tutto il suo carico di storia e tradizione, è stata ridotta a brand, a marchio. Dai sigari toscani al Sigaro Toscano.
Tutto questo è stato legittimo agli occhi di fronte alla storia? È stato adeguatamente tutelato un prodotto unico al mondo? È giusto che le sorti di un prodotto nazionale con duecento anni di storia alle spalle sia stato trattato come un semplice brand? È giusto che non esista il benché minimo disciplinare produttivo, alcuna tutela del prodotto e che sia unicamente tutelato il diritto di uso di un marchio?
Spostiamo per un attimo l’attenzione su un ambito diverso: quello del vino. Il vino Barolo, per citarne uno, è «un vino rosso a Denominazione di Origine Controllata e Garantita prodotto in alcuni comuni del Piemonte, con uve coltivate unicamente nel territorio di Barolo, Castiglione Falletto e Serralunga d’Alba e parte dei territori dei comuni di La Morra, Monforte d’Alba, Roddi, Verduno, Cherasco, Diano d’Alba, Novello e Grinzane Cavour in provincia di Cuneo». A oggi, si contano decine e decine di produttori di vino Barolo, ma tutti rispettano rigidi disciplinari di produzione, secondo le normative vigenti per le Denominazioni di Origine Controllata e le DOCG. Nel mondo del vino non si sarebbe mai permesso che un prodotto di rilevanza storica nazionale passasse dall’essere monopolio di stato all’essere monopolio di un’unica azienda. MST, unica proprietaria del brand Sigaro Toscano, può oggi legalmente definire come tali prodotti scadenti e aromatizzati di ogni sorta, confezionati adoperando tabacchi provenienti da ogni parte del mondo, curati in qualsiasi modo. Volendo, potrebbe adoperare persino tabacchi diversi dal Kentucky, o ibridi di ogni genere. D’altro canto, molti fumatori poco esperti sono naturalmente portati a credere che quello sia il vero sigaro toscano, mentre la produzione di aziende nuove è derubricata a semplice creazione di surrogati, indipendentemente dalla qualità. Ebbene, Simone conclude il suo articolo scrivendo che «se fumo un [Toscano] Classico a 1,20 € non posso, da consumatore, accettare di spendere il 50% in più per un Antico [Toscano] e fumare peggio, ed è li che comincio a fare paragoni, e a trovare surrogati che mi fanno spendere meno per la stessa qualità o che mi danno allo stesso prezzo una qualità maggiore».
Caro Simone, quali sono oggi i surrogati? I sigari prodotti da nuove aziende che hanno fatto della qualità la cifra del proprio business (non perché siano ONLUS, ma perché la qualitá paga), individuando in una nicchia qualitativa il proprio target? Sono surrogati i sigari composti di tabacchi selezionati, prodotti rispettando disciplinari ben precisi, quelli che hanno riportato me e tanti come me sulla via del sigaro, ma che non possono utilizzare il marchio Sigaro Toscano? Oppure sono surrogati del vero toscano i sigari di qualità scadente, i mass-market e gli aromatizzati prodotti da un’azienda che detiene i diritti su un marchio ormai sempre più svuotato di ogni significato, salvo quello economico?
So bene che il settore del tabacco non è quello del vino, purtroppo, ma se è impensabile replicare quelle dinamiche, beh, almeno noialtri fumatori dovremmo avere le idee chiare. Se poi ci piace scrivere su blog e webmagazine, ancora di più. Non sei d’accordo?