Paul Giamatti è Barney Panofsky (produttore televisivo di successo), ebreo canadese. Non certo un fusto, non certo una bellezza, non certo uno spigliato commensale, e non certamente un buon marito.
E non v’aspettate un esempio d’uomo e di padre: in gioventù ha conosciuto la droga, nell’età adulta eccede continuamente con alcol e fumo, sposa la seconda moglie e già pensa alla terza.
Eppure, quel goffo individuo ha qualcosa dentro che lo muove, che non lo lascia tranquillo. Che lo spinge, non ci crederete, ad amare profondamente le sue donne.
Ha amato, a modo suo ovviamente, la prima moglie poi morta suicida (tra l’altro gli aveva dato un figlio… di colore); ha amato infinitamente di più la terza, Miriam, che lo ha lasciato per una sua infedeltà. La seconda è stata solo un intermezzo di cui non ha goduto neppure sessualmente.
Barney è una persona che cade spesso, che dice una cosa e ne fa un’altra, che è l’antitesi della coerenza. Nonostante ciò, è alla ricerca di un “per sempre”, di qualcosa di duratura, di una strana tensione morale. Un’esistenza instabile che cerca stabilità e completamento interiore.
I suoi amici più intimi sono degli irregolari, come Boogie, il drogato, che muore improvvisamente tanto da far parlare di omicidio. Omicidio di cui viene accusato proprio Barney.
Interessante il rapporto tra Barney e suo padre (Dustin Hoffman). Un rapporto di grande affetto e di grande sostegno reciproco. Il padre ci sarà sempre! Come i figli di Barney che torneranno, prima la femmina, poi il maschio, e gli saranno accanto specie nell’ultimo tratto di vita aggredita dall’Alzheimer.
La versione di Barney, un film dai sentimenti profondi, quelli che nulla può recidere.
Fonte: Informazione.tv