Il legame con gli oggetti – che siano oggetti di consumo, artistici o, ancora, mere vettovaglie – è spesso, se non il piú delle volte, legato a motivazioni affettive: si conserva, magari per anni o per sempre, un giocattolo dell’infanzia; si tiene come una reliquia il dono della prima fidanzata; restano appese al muro cartoline spedite anni prima da persone ormai lontane; resta, magari relegato in un cantuccio della memoria, un ricordo. Si dice che il ricordo dei gusti sia sempre fallace, o quanto meno alterato: probabilmente è vero, ma chi non ricerca il sapore dei dolci della propria infanzia? Quanti di noi non hanno mai acquistato un pacchetto di caramelle per rievocare anni ormai irrimediabilmente lontani? Beh, sono considerazioni di tal fatta a spingermi in questo territorio per me inesplorato, a tentare di esprimere la mia opinione – se così si può chiamare – su un prodotto del tabacco, anzi su due. In effetti, non mi sono mai avventurato nella terra delle degustazioni, né ho mai visto di buon occhio le cosiddette analisi del testo in ambito letterario: così come i Romantici tedeschi teorizzavano l’ascolto musicale inconsapevole, in modo assai meno pretenzioso io mi sono sempre riconosciuto, in quanto al fumo, nel motto “il tabacco sa di tabacco“. Nondimeno, è evidente a chiunque che il tabacco non ha un solo gusto, bensì molti: in effetti sarebbe meglio correggere il motto di cui sopra in “i tabacchi sanno di tabacchi“. Lungi dall’essere un mero sollazzo linguistico, questa riflessione è foriera di conseguenze: da espressione spesso additata come frutto di faciloneria o insensibilità gustativa, di colpo la vediamo abbracciare molte più variabili. Ecco che, potenza della semantica, i tabacchi (indipendentemente dai blend) possono avere infiniti, o perlomeno innumerevoli aromi, senza doversi perdere nei meandri di definizioni talvolta ostiche per i non addetti ai lavori, poco avvezzi al linguaggio dei sommelier.
Orbene, che gusto avevano i tabacchi della mia infanzia? I miei ricordi spaziano, a titolo esemplificativo, senza pretese di esaustività, dall’acre delle Esportazione senza filtro, all’inaccettabile dolciastro dei tabacchi di ricetta olandese (in primis l’Amsterdamer, prediletto da mio nonno, ormai passato a miglior vita), al virile, legnoso sapore dei sigari toscani… Ed è proprio di questi ultimi che vorrei parlare, una volta tanto. Ricordo che fui colpito dal fascino del sigaro toscano sin da ragazzino: complici i film di Sergio Leone, iniziai ad acquistarne nello stesso periodo in cui mi avvicinai alle sigarette. In quel periodo, alla fine degli anni Novanta, non esistevano forum di appassionati, nessuno che conoscessi conservava i toscani in humidor e ben pochi adoperavano il tagliasigari, eppur nessuno fumava toscani interi: ricordo come se fosse ieri le istruzioni del tabaccaio di periferia che mi insegnò a spezzarli con le dita. Un’operazione tutto sommato difficoltosa, considerando che veniva effettuata su sigari generalmente secchi: spesso, almeno all’inizio, finivo per combinare guai e sbriciolare in pipa o, addirittura, in cartina (in un’epoca in cui in cartina si rollava ben poco tabacco) i poveri resti del sigaro martoriato. Ricordo che le prime fumate mi piacquero subito: quel sapore forte, naturale, maschio, mai aggressivo (forse perché spesso accompagnato da birra o whisky), l’alterazione della nicotina, presente in quantità comunque ragguardevoli, se paragonate alle sigarette, mi conquistarono molto in fretta. E poi, che fumate lunghe! Spesso ero oggetto di scherno e amichevole derisione da parte degli amici: in quel periodo, i toscani erano sigari da vecchi operai comunisti, inutile girarci intorno… Io, ben poco interessato alla politica, non me ne curavo granché: in fin dei conti, tutti gli adolescenti vengono scherniti per qualcosa – fa parte del gioco – ed essere additato come fumatore di sigari (e pipa) non era poi così male.
Ebbene, quel sapore forte, ma non aggressivo, virile, ma pulito, a dispetto di quanto possano sostenere illustri studiosi, lo ricordo bene… Le alterne vicende della vita di un fumatore, tuttavia, per un certo periodo mi allontanarono dal sigaro: diciamolo, la sigaretta è più pratica, soprattutto per uno studente liceale. S’intende che il mio non fu un abbandono definitivo! Diciamo una separazione in casa, ancor talvolta coronata dall’affetto. Insomma, se il sigaro era stato un compagno fedele, seppur non onnipresente, durante i miei anni liceali, col mio ingresso all’Università ho finito per metterlo un po’ da parte, almeno i primi anni: premio dato a me stesso per coronare una soddisfazione accademica, compagno occasionale, evento saltuario o poco più. Solo nel 2006, schifato dal degrado subìto da praticamente tutte le sigarette in commercio, mi sono riavvicinato al sigaro e, in misura minore, alla pipa.
Del tutto estraneo ai graduali cambiamenti già avvenuti nel frattempo, mi resi conto che le cose erano mutate: i toscani cominciavano ad essere considerati un vanto italiano anche presso il grande pubblico, giacché presso gli aficionado, avrei poi scoperto, lo sono sempre stati. Era diventato d’obbligo acquistare tagliasigari, porta ammezzati, humidor e simili: era da poco disponibile persino una rivista, invero piuttosto interessante, dedicata ai toscani. Per la prima volta in vita mia mi resi conto che avrei potuto trovare informazioni sui sigari cercandole su Google: potrà sembrare sorprendente, ma francamente non ci avevo mai pensato. In precedenza, elemosinavo informazioni da vecchi fumatori – che ne sapevano in fondo quanto me – o dal mio vecchio tabaccaio di periferia, che sapeva giusto ciò che gli serviva a vendere – e a spezzare i sigari con le mani. In effetti, frequentando l’Università ero molto spesso in centro città: scoprii che lì i tabaccai erano – e sono – decisamente più informati e meno provinciali…
Quanto al fumo, beh, ritrovai i toscani che ricordavo, anche se, sin da subito, mi parvero diversi, migliori: certo, molto faceva la conservazione meno raffazzonata, ma mi parvero migliori di un tempo sotto tutti i punti di vista. Abbracciai in pieno gli ideali di quella nouvelle vague: mi dotai di humidor, tagliasigari (anche perché spezzare un toscano umido con le mani è un’operazione decisamente più complessa, rispetto a farlo con uno secco) e mi iscrissi a quello che ancora si chiamava Amici del toscano. Compresi ben presto che se lasciati stagionare anche solo qualche mese i sigari miglioravano: mi si squadernò un mondo insospettato, un mondo fors’anche complesso, fatto di variazioni di UR, di temperatura e sottili differenze di sapori. Intorno a me vedevo un mondo in evoluzione: rimasi di stucco quando trovai i toscani al Salone del Gusto! In effetti, influenzato dalle mie esperienze giovanili ancora oggi mi stupisco quando vedo uomini in giacca e cravatta accendere un sigaro toscano…
Ma, ahimè, ciò che è fonte della gioia dell’uomo è spesso anche causa della sua rovina… Pochi anni dopo, infatti, quelle stesse capacità di discernimento, acquisite così faticosamente, finirono per allontanarmi definitivamente dal sigaro, riavvicinandomi alla pipa, compagna sporadica degli anni precedenti (e maltrattata come poche).
Ricordo che era autunno inoltrato: sotto una pioggia torrenziale acquistai un pacchetto di Antica Tradizione, l’ultima novità giunta sugli scaffali. Quando accesi un mezzo sigaro rimasi perplesso, a dir poco: di colpo mi resi conto di quanto i toscani fossero cambiati! Potrà sembrare sorprendente, ma d’un tratto, forse complice l’atmosfera malinconica dell’autunno, mi accorsi che, fumando quello che inequivocabilmente era un toscano, avevo voglia di toscano! Non un toscano solo di nome, ma di fatto! Non desideravo, in quel momento, un aroma raffinato, complesso e un pelo radical chic, bensì quel gusto naturale, maschio, legnoso di anni prima. In quel momento, il peso del tempo trascorso, e perduto, si fece sentire improvvisamente. Volevo recuperare la spontanea ingenuità del ragazzino che saltava il panino delle 10 per risparmiare i soldi per un Antica Riserva sfuso; volevo riassaporare quell’aroma, sentire quel gusto legnoso (non saprei definirlo diversamente), secco, ma scevro di spiacevoli retrogusti salmastri, di un tempo: desideravo una madeleine fumosa che mi riportasse alla mente i tempi andati della mia adolescenza, quando trascorrevo pomeriggi interi alla fermata del pullman a fumare sigari secchi, magari spezzati male, ma autentici, veri. Desideravo tutto questo, ma il sigaro non volle concedermelo. Provai, nei giorni seguenti, ad acquistare sigari conservati fuori humidor; provai a far seccare quelli della mia scorta; acquistai sigari di tipo diverso: nulla placò la mia bramosia. Ovunque cercassi, trovavo toscani contemporanei, ma non veri toscani. In quei giorni mi resi conto di come ogni toscano avesse un retrogusto salmastro, innaturalmente sapido, addirittura chimico e cominciai a centellinare quelli di cui avevo fatto scorta negli anni precedenti, anche se neppure quelli mi soddisfavano più appieno. Finché, poco dopo, finii per non riuscire più a fumarne alcuno: come un fumoso figliol prodigo tornai alla pipa. Riscoprii antichi piaceri e ne trovai di nuovi, ma questa è un’altra storia…
Di fatto, non riuscivo più ad accendere un toscano che fosse uno: mi risultava – e tuttora mi risulta – insostenibile la loro acredine, quel gusto o retrogusto salmastro, prima del tutto assente, che ormai li caratterizza quasi tutti. Poi, un giorno di non molto tempo fa, assaggiai un Amazon: beh, li apprezzai subito! Tanto per cominciare, ho ritrovato quell’aroma naturale e maschio che tanto amavo: nessuna acredine, nessun acuto chimico, solo un ottimo sapore di tabacco, raffinato, ma non effeminato, senza compromessi. Pur rimanendo fedele alla pipa, li assaggiai tutti e individuai i miei preferiti: che fumare di meglio di un Nerone in un’occasione importante? Cosa accendere meglio di un Manfredi durante una cena conviviale? Che sigaro preferire a un De Amicis passeggiando con un amico, o vagando per i boschi? I sigari Amazon costituiscono tuttora per me l’unica alternativa credibile alla pipa: veri e propri monumenti al tabacco. Devo dire che questi sigari hanno supplito benissimo alla mia nostalgia dei tempi andati: lungi dall’essere meri sostituti dei toscani che ricordo, ne costituiscono piuttosto un’evoluzione. “Se ho voglia di un sigaro italiano – ho detto e scritto a lungo – fumo un Amazon”.
Tuttavia – me ne rendo conto ora – qualcosa mi mancava: mi mancava quella semplice immediatezza, quel sapore legnoso che ha connotato la mia infanzia. La mia madeleine fumosa…
Qualche tempo fa, a Novara, inaspettatamente, l’ho trovata accendendo un umile ammezzato, prodotto in Veneto. Quel semplice Ambasciator Italico mi ha riportato indietro di anni: quel sapore, quell’aroma semplice e pulito, del tutto scevro di retrogusti, eppur così tipicamente connotato mi ha fatto riscoprire una parte di me stesso. Ha riportato in vita quel ragazzino, fermo fuori dal tabaccaio a contare le poche lire italiane necessarie ad acquistare un sigaro da ammezzare con le mani: forse desideroso di sentirsi più grande, di certo ignaro del fatto che un giorno avrebbe rimpianto quel momento.
Ecco perché apprezzo gli Ambasciator Italico: sono i veri toscani. Per me, ma forse non solo per me: a dispetto di qualsiasi marchio registrato.