La stanza odorava ancora del fumo dell’ultima sigaretta aspirata, mentre fascicoli di giornali e fogli sparsi riempivano la scrivania. La poltrona marrone su cui poggiava la sua sagoma, illuminata da una fioca luce di lampada a olio, creava una curva ormai formata dagli anni in cui, pensieroso, stava a sedere di fronte alla macchina da scrivere; che ha seguito i frammenti della sua vita come una fida compagna.
I tasti ormai lerci e sporchi di grasso e nicotina della Underwood mostravano, come fosse un quadro espressionista, una passione di vecchia data. Vissuta da quella macchina in prima persona la quale ha visto battere migliaia di racconti. Di testi, di storie, di intrighi, passioni e amori e, spesso, su quegli stessi tasti venivano versate le lacrime degli amari fogli usciti, non più da mente e dita ma, da cuore e vene. Perché gli capitava che quella fosse la depositaria delle sue frustrazioni, delle sue gioie e di tutti quei sentimenti che si accavallavano in una mente che cercava andare oltre. Di raccontare ciò che gli altri non vedevano e di mettere nero su bianco ciò che forse nascondeva anche a se stesso.
Quel giorno sembrava uguale a tanti altri, vissuti alla medesima maniera. Un giorno in cui la mente alle prese con i miscugli e gli ingarbugli di un alchimista stava cercando di elaborare il mix perfetto. Quella pozione che potesse racchiudere la propria formula nelle pagine che da li a poco sarebbero state sputate fuori. Prende un foglio da un cassetto della scrivania. Lo immette nel congegno allineandolo in modo parallelo all’asse della macchina. Lo incastra sollevando la levetta in metallo, gira la rotellina ed ecco il punto più importante.
L’inizio.
Il primo rigo bianco che si mostra come il peggior nemico da combattere. Quelle linee di avamposti che una volta superate rendono la battaglia in discesa, sempre più. Finché non giunge la fine, siglata, come tutte le guerre, da un punto. Prospettiva di un altro massacro che non tarderà a presentarsi. Il fumo cigolante ondeggiava mostrando delle figure arabeggianti.
Un corpo fluido, una donna.
Una donna volta a danzare sulle ali del vento, vestita del grigio perla che il tabacco bruciato sprigiona. Quella donna che continua a ballare e battere sulla sua mente. Ad ogni tiro sempre di più. Si perde nel pensiero di quella figura che gli si staglia davanti, non può afferrarla. Ne può solo cogliere l’odore e un vago sguardo perché la stanza e buia. Solo la lampada cerca di dare un briciolo di luce a quella coltre di nero che lo circonda mentre osserva la brace rossa. Rossa come quella passione che avverte mentre continua a godere delle sue fattezze. Continua a sentirne il profumo, ne percepisce il muoversi del corpo. Ondulante, sincronizzato lì davanti a lui. La sente sopra e il suo sospiro lo coglie impreparato. Sta per dissolversi ma un altro tiro repentino da vita alla stessa figura di prima. Di nuovo eccola sinuosa. Crede d’averla baciata. Ha sentito il calore di quell’anima succhiando dal filtro, che è il solo che si interpone tra lei e lui.
Cerca di viverla ancora di più la immagina avvolta da un lenzuolo, ne immagina le forme, la vita. i fianchi e le guance. Le labbra. Sì, quelle labbra dove si perde cercandone il bacio. È lì e aspetta, il tempo è misurato solo da un battito incessante, nella testa, nella pancia. E lì aspetta, ed ecco. La bacia. Le braccia si avvinghiano al suo collo e di conseguenza le sue gli cingono i fianchi. Un palmo gli passa tra i capelli e una carezza gli sfiora le orecchie. Continua a baciarla. Si perde in quel tempo che non è calcolabile. Dimentica quello che stava cercando di fare. Finché le sua labbra non si staccano.
Getta via l’ultimo briciolo di cenere e spegne il mozzicone.
Cos’è stato? Un’emozione.
Il foglio era pieno. Era completo, inchiostro ben sistemato. Il tutto con la perfetta selezione degli spazi, della punteggiatura, della sintassi. Aveva scritto quella scena. Che sia la prima di un romanzo non si sa, però l’aveva scritta.
In appena otto minuti, il tempo per una sigaretta.